L’ulivo tra mitologia e storia
- Cosimo Lamanna
- 1 apr 2017
- Tempo di lettura: 4 min

L'olivo o ulivo (Olea europaea) è una pianta da frutto, originaria del vicino Oriente. E’ stata utilizzata fin dall'antichità per diversi scopi, non solo alimentari. I suoi frutti, le olive, sono impiegate per l'estrazione dell'olio e, in misura minore, per l'impiego diretto nell'alimentazione. Si differenzia dall’olivastro, pianta arborea spontanea e selvatica, alta fino a 5-6 m, con rami spinosi e frutti piccoli, rosso-nerastri, che si trova nei boschi, nelle macchie e nelle lame che solcano il nostro territorio. Un mito greco attribuisce ad Atena la nascita del primo olivo che sorse nell'Acropoli a protezione della città di Atene. La leggenda racconta che Poseidone e Atena, disputandosi la sovranità dell'Attica, si sfidarono a chi avesse offerto il più bel dono al popolo. Poseidone, colpendo con il suo tridente il suolo, fece sorgere il cavallo più potente e rapido, in grado di vincere tutte le battaglie; Atena, colpendo la roccia con la sua lancia, fece nascere dalla terra il primo albero di olivo per illuminare la notte, per mendicare le ferite e per offrire nutrimento alla popolazione. Zeus scelse l'invenzione più pacifica ed Atena divenne la dea di Atene. Un figlio di Poseidone cercò di sradicare l'albero di Atena, ma non vi riuscì, anzi si ferì nel commettere il gesto sacrilego e morì. Quella roccia che resistette era appunto l'Acropoli, dove la pianta dell'olivo venne presidiata dai soldati perché sacra ai greci. Plinio e da Cicerone narrano che sarebbe stato Aristeo lo scopritore dell'olivo e l'inventore del modo di estrarre l'olio, all'epoca fenicia. L'olivicoltura era molto diffusa al tempo di Omero a tal punto che l'Iliade e l'Odissea narrano spesso dell'ulivo e del suo olio: Ulisse stesso aveva costruito la camera da letto matrimoniale con legno d’ulivo. Grazie all'intensificarsi dei traffici marittimi lungo le coste del Meridione d'Italia ad opera di fenici e greci, l’olivicoltura si diffuse in Puglia e in tutta la Magna Grecia. I romani fecero propria la cultura dell’ulivo, pianta dedicata a Minerva e Giove. Con l'affermarsi dell'Impero Romano, oltre all’aspetto religioso, l'olio d'oliva assunse una funzione strategica nel campo del commercio e delle attività di scambio tra i diversi popoli e si intensificarono anche gli studi sulla buona coltivazione dell'olivo. Illustri uomini di cultura, quali Plinio il Vecchio, Catone, Columella, offrirono un notevole contributo di conoscenze sulla coltivazione degli olivi. Secondo Varrone, le olive debbono essere brucate (raccolte a mano)

utilizzando, se è necessario, le scale; Plinio rileva i danni che si procurano alle piante dalla bacchiatura ed ordina ai raccoglitori di non scorticare l'albero. La presenza dell'olivo nel corso dell'alto Medioevo era piuttosto scarsa. Olivi isolati tra i coltivi o tra i pascoli, interessavano soprattutto aree a diretta gestione signorile. L'olio comunque non era merce ricca e il suo commercio era condizionato anche dagli ingombranti recipienti con i quali veniva trasportato. Con la dominazione bizantina dell'Italia meridionale vennero ripristinate anche le colture tradizionali come l'olivo e la vite e nell’epoca dei Comuni e dei Monasteri si verificò un rinnovamento anche per l’olivicoltura. Il commercio dell'olio riprende ad opera dei navigatori veneziani e i porti di Monopoli, Brindisi, Gallipoli, Otranto e Taranto divennero meta di navi che trasportavano enormi quantità di olio. I primi decenni del XVII secolo segnano, anche in Terra d'Otranto, il momento culminante di quella fase di prosperità che aveva caratterizzato tutto il Cinquecento, ma registrano anche l'inizio di una lunga crisi, che diventerà poi irreversibile per tutto il Mezzogiorno. Il deterioramento delle condizioni climatiche e il lungo ciclo di basse temperature che investirono l'Europa dopo il 1600 furono le cause che determinarono la crisi dei raccolti e le eccezionali carestie. Per fortuna la crisi registrata nella metà del XVII secolo non fu di lunga durata e già verso gli anni Ottanta del Seicento si poteva registrare una forte ripresa dell'economia agricola, con l'oliveto che ancora una volta s'imponeva nel quadro generale del paesaggio agrario. Da allora la coltura dell'ulivo ha conosciuto solo periodi di espansione e le tecniche di coltivazione sono state caratterizzate da un costante progresso. Oltre alla funzione alimentare assolta dall’olio di prima scelta, vi era anche un olio di bassa qualità, molto utilizzato anche l’olio lampante per l’illuminazione e l’olio per la produzione del sapone: l’olio pugliese rappresentò nel 1700 la materia prima anche del celebre sapone di Marsiglia. L’ulivo trovò in Puglia l’habitat ideale per la sua proliferazione e la sua comparsa nell'area pugliese risale già a diversi millenni fa (8 -10 mila per la precisione) come testimoniano i rinvenimenti di noccioli di olive degli scavi di Torre Canne, inglobati nella roccia del neolitico. Associato all’olivicoltura, è il fenomeno dei frantoi ipogei, scavati sotto terra (da qui il termine "ipogeo") per motivi di sicurezza. In questo modo si rendevano più difficili i furti delle olive e dell'olio; inoltre si creava la temperatura ideale per facilitare la fase di spremitura. Nel periodo della macina (da ottobre a marzo) i frantoiani andavano a vivere all'interno del frantoio, mentre durante i mesi estivi svolgevano l'attività di marinai. La Puglia è una regione il cui paesaggio è una distesa quasi ininterrotta di uliveti. Sono stati censiti 40 milioni di alberi d'ulivo di cui 15 milioni ultracentenari. La peculiarità delle forme dei tronchi d'ulivo è anche merito di generazioni di olivocultori che potando e modellando hanno dato vita a suggestive sculture arboree. Naturalmente le condizioni climatiche, la penuria d’acqua, i venti marini, hanno giocato un ruolo importante nella formazione dei tronchi di questa splendida pianta che tutto il mondo ormai ammira.
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